San Camillo, salvati utero, vescica, vagina e reni di una giovane madre: parla il prof. Emiliozzi

Intervento robotico al San Camillo salva utero, reni, vescica e vagina di una giovane madre. Il prof. Emiliozzi racconta un caso al limite dell’inoperabilità.
Fonte immagine: Azienda Ospedaliera San Camillo Forlanini

Un intervento chirurgico robotico di altissima complessità ha permesso di salvare utero, vescica, vagina ed entrambi i reni di una giovane donna, madre di due figli, gravemente lesionati in seguito a un parto cesareo complicato svolto in un’altra struttura.

Presso l’Azienda Ospedaliera San Camillo Forlanini, l’équipe di Chirurgia Urologica diretta dal Prof. Paolo Emiliozzi, con la collaborazione intraoperatoria della Prof.ssa Maria Giovanna Salerno, primaria della Ginecologia e Ostetricia, ha affrontato un caso definito “al limite dell’inoperabilità”, restituendo alla paziente una vita normale dopo mesi di sofferenza.

Un risultato reso possibile da competenze multidisciplinari e dall’impiego avanzato della tecnologia robotica, che ha consentito una ricostruzione precisa e mini-invasiva degli organi compromessi. Ma anche dall’umanità e dalla visione del chirurgo, che non perde mai di vista il volto e la storia della persona che ha davanti.

In questa intervista, il Prof. Emiliozzi racconta il caso clinico, le difficoltà tecniche, le scelte chirurgiche e l’emozione di vedere la paziente tornare a sorridere. Un esempio di come esperienza, innovazione e lavoro di squadra possano fare la differenza, ogni giorno, nella vita delle persone.

Ci può raccontare, in parole semplici, cosa è successo alla paziente e perché il suo caso era così grave?

La paziente è una giovane donna che, durante un parto cesareo eseguito in un altro ospedale, ha notato una certa frenesia in sala operatoria: sono accorsi diversi medici, è stato chiamato l’urologo, ed è stata sedata. Al risveglio, si è trovata con due nefrostomie, cioè tubi inseriti nei reni. Entrambi gli ureteri – i condotti che portano l’urina verso la vescica – risultavano lesionati, e si era formata un’unica cavità pelvica in cui confluivano completamente aperti vescica, vagina e utero. La paziente ha sviluppato una sepsi che ha reso necessario il ricovero in terapia intensiva. Data la complessità del caso, era presente anche un catetere attorno a cui fuoriuscivano urine. Nessuno, tuttavia, ha ritenuto opportuno intervenire chirurgicamente fino al suo arrivo presso la nostra struttura per una seconda valutazione.

In che modo la chirurgia robotica ha permesso di affrontare un intervento così complesso?

Dopo 3 mesi la paziente è giunta alla nostra osservazione. La chirurgia robotica rappresenta oggi una delle tecniche predominanti in ambito urologico, soprattutto dove non c’è l’endo-urologia. È sempre più frequente la possibilità di superare la chirurgia a cielo aperto puntando sulla robotica, che consente un approccio miniaturizzato: attraverso piccoli strumenti inseriti tramite il robot, il chirurgo opera con una visione tridimensionale. I movimenti sono estremamente precisi grazie a un sistema di riduzione del movimento: per ogni 6 cm spostati dalla mano del chirurgo, il robot ne esegue solo uno, garantendo grande accuratezza. Questo approccio si rivela particolarmente utile nei casi di ricostruzione complessa in spazi anatomici molto ristretti. Nel caso specifico della paziente, siamo riusciti a intervenire efficacemente proprio in un contesto di spazi molto ridotti e fortemente compromessi.

Quali organi erano compromessi e come siete riusciti a ricostruirli?

Siamo entrati in una pelvi che era stata praticamente a bagno nelle urine, quindi tutta l’anatomia era sovvertita. Siamo riusciti a entrare in questa cavità, e il primo organo che abbiamo salvato è stato l’utero, anche grazie all’aiuto della professoressa Salerno, che è la primaria di Ginecologia. Messo da parte l’utero in basso, siamo riusciti a separare vagina e vescica, che erano fuse insieme. Solo questa manovra ha richiesto due ore, per la sua delicatezza.

Dopodiché abbiamo ricostruito i fornici vaginali con un lembo di vagina ricavato in sede, e a quel punto siamo passati alla vescica, dove c’erano cinque tramiti fistolosi, alcuni molto grandi. Abbiamo asportato la mucosa di questi tramiti, poi abbiamo chiuso la vescica e siamo riusciti a reimpiantare l’uretere sinistro.

Abbiamo anche interposto un lembo di grasso, molto vascolarizzato, che scende come un grembiule dallo stomaco e dal colon, posizionandolo tra vescica e vagina per ridurre il rischio di recidiva delle fistole. Poiché l’uretere destro era completamente intrappolato in abbondante tessuto cicatriziale, dopo sei ore di intervento abbiamo deciso di rimandare. Dopo tre mesi abbiamo riattaccato anche quello destro, sempre in robotica e sempre in modo mini-invasivo, attraverso gli stessi fori.

C’è stato un momento in cui ha pensato che non sarebbe stato possibile operare?

È chiaro che ogni chirurgo si pone delle sfide, anche se è un chirurgo esperto. Anche se faccio chirurgia robotica da oltre 15 anni, un caso limite – rifiutato da altri colleghi, anche molto noti – pone inevitabilmente delle riflessioni. In realtà, ogni volta che si entra in sala operatoria, dall’intervento più semplice a quello più complesso, ci si pone sempre dei dubbi. Ed è giusto che il chirurgo abbia dei dubbi, purché questi lo portino a ragionare in modo più approfondito.

Io, ad esempio, preparo mentalmente gli interventi complessi con molta attenzione, anche riguardando la letteratura scientifica il giorno prima, così da arrivare in sala con le idee abbastanza chiare su cosa fare. Poi è l’esperienza che, nelle situazioni insolite, ti suggerisce come procedere.

Devo dire che il San Camillo ha un altissimo livello di specializzazione e di prestazioni, e la presenza di colleghi altrettanto capaci – se non più capaci di me – ti consente di affrontare e portare a termine anche i casi più difficili. Certo, inizialmente ero molto esitante sui risultati, che però si sono rivelati brillanti, ben oltre ogni aspettativa.

Cosa rappresenta per lei, come medico e come persona, un risultato così sorprendente?

Una cosa che insegno, e che ho sempre insegnato, è che non dobbiamo mai dimenticare – anche se facciamo i chirurghi – che dall’altra parte c’è un essere umano. Qualsiasi cosa decidiamo, qualsiasi cosa facciamo, non dobbiamo mai perdere di vista l’importanza della persona. In questo caso si trattava di una giovane mamma con due bambini piccoli, che si è ritrovata in una situazione devastante: due tubi nei reni, due ureteri e gli organi pelvici completamente compromessi, ed era totalmente incontinente da tre mesi.

Una cosa che mi è rimasta impressa è stato il suo volto, quando è entrata nel mio studio: aveva un’espressione quasi spaventata, tristissima. Vista la giovane età, non immaginavo potesse esserci un problema così grave. Le ho detto: ‘Signora, ma cosa succede? Come mai?’ Poi, guardando gli esami e la TAC, mi sono reso conto della reale gravità della situazione. E ho capito che il suo atteggiamento era più che giustificato.

La cosa più bella, però, è stata vederla tornare a una vita normale. Vederla sorridere di nuovo. Questo, secondo me, non ha prezzo. Un risultato del genere si spiega anche perché qui abbiamo un robot di ultima generazione, e perché io ho una lunga esperienza nella chirurgia demolitiva e ricostruttiva. Ma sicuramente è stato fondamentale anche l’apporto della collega, la primaria di Ginecologia, per tutta la valutazione della parte ginecologica e uterina.

 

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