Mentre infuriano le polemiche sul futuro del trasporto pubblico non di linea, tra scioperi, disegni di legge e incontri poco trasparenti tra governo e multinazionali come Uber, abbiamo raccolto la voce di chi ogni giorno lavora su strada.Un tassista con oltre vent’anni di servizio ci racconta le ragioni delle proteste che sempre più spesso vengono proclamate nelle grandi città, le paure per una deregolarizzazione che rischia di stravolgere il settore, ma anche le contraddizioni interne a un sistema che da troppo tempo aspetta una vera riforma. Con lucidità e amarezza, spiega perché parlare di “concorrenza” non basta e cosa c’è davvero in gioco per chi, ogni giorno, garantisce un servizio pubblico sotto stress.
Da quanti anni fa il tassista? Cosa l’ha spinta a intraprendere questo lavoro?
Faccio il tassista da quasi venticinque anni. Ho iniziato a fine anni ’90, quando ancora si prendeva il telefono fisso per le chiamate e i turni si scrivevano su un foglio. All’epoca lavoravo in un altro settore, poi ho fatto il salto: cercavo un lavoro che mi permettesse di guadagnare con dignità, stando per strada, a contatto con le persone. Non è mai stato un mestiere semplice, ma dava un senso di libertà e di rispetto. E questo, almeno per me, valeva la fatica.
Come descriverebbe oggi la situazione del servizio taxi nella sua città?
Complicata, sotto molti punti di vista. Ci sono momenti, soprattutto durante eventi grandi, in estate o in orari particolari, in cui la domanda è altissima e si fa fatica a starci dietro. I cittadini giustamente si lamentano, ma la verità è che il problema non è solo il numero delle licenze – come spesso si vuol far credere – ma un insieme di fattori.
C’è una cattiva gestione delle risorse, ci sono troppi vincoli burocratici, e manca un coordinamento serio tra Comuni, tassisti e centrali operative. Poi c’è il fattore umano: questo lavoro richiede un impegno fisico e mentale importante, turni anche di dieci, dodici ore. Non tutti riescono a mantenere quel ritmo, specie con l’età che avanza. E se mancano incentivi o tutele, è normale che ci siano meno auto in servizio in certe fasce orarie.
Cosa risponde a chi dice che la concorrenza con le piattaforme digitali è inevitabile?
Che il problema non è la concorrenza in sé. Nessuno ha paura della concorrenza, se è leale. Il punto è che oggi si parla di “concorrenza” ma si intende un sistema dove chi arriva da fuori può operare con regole completamente diverse, senza obblighi di turni, tariffe imposte, licenze, controlli.
Se io devo garantire un servizio pubblico, portare chiunque ovunque, anche in zone scomode o in orari notturni, e l’altro può scegliere solo le corse più remunerative, allora non stiamo parlando della stessa partita. Non è concorrenza, è un altro sport.
Secondo lei è davvero possibile una convivenza tra taxi e piattaforme come Uber o Lyft?
Possibile sì, ma solo se valgono le stesse regole per tutti. Altrimenti non è convivenza, è sopraffazione. E chi ci rimette sono sia i lavoratori, sia i cittadini.
La questione delle tariffe: cosa cambierebbe se anche i taxi potessero applicare prezzi liberi?
Cambierebbe tutto. Se ci dessero la possibilità di lavorare a tariffa libera come fanno Uber e simili, allora sì che vedreste aumenti veri. Le corse più richieste, tipo aeroporto-centro, costerebbero anche il doppio. Ma è questo che vogliamo? Noi oggi garantiamo un prezzo trasparente, uguale per tutti, deciso con i Comuni. Se si liberalizzano le tariffe, la logica sarà solo una: massimizzare il guadagno. E i quartieri periferici o le corse brevi resteranno scoperti, perché non conviene farle.
Perché i tassisti si oppongono all’aumento delle licenze?
Perché è una scorciatoia che non risolve i problemi veri. Aumentare le licenze senza prima sistemare la gestione del servizio, senza controlli, senza un piano serio, significa solo aumentare la competizione tra noi. E non è una competizione sana, è al ribasso.
In più, c’è un valore economico legato alla licenza che molti di noi hanno comprato con anni di sacrifici o con un mutuo. Se il mercato viene saturato da nuove licenze senza criteri, quel valore crolla. È come se domani ti svalutassero casa da un giorno all’altro. Chi accetterebbe una cosa del genere?
L’abusivismo nel settore è ancora un problema concreto? Come si potrebbe contrastarlo?
Eccome se lo è. Basta stare qualche ora davanti a una stazione o ad un aeroporto per rendersene conto. Ci sono Ncc che fanno servizio come se fossero taxi, senza rispettare le regole, senza prenotazione, senza controlli. E poi ci sono veri e propri abusivi, gente che carica clienti senza alcuna autorizzazione.
Servirebbero controlli più seri e continui, ma soprattutto serve chiarezza normativa. Finché le leggi restano ambigue o vengono aggirate, è impossibile distinguere chi lavora correttamente da chi fa il furbo. E chi lavora nel rispetto delle regole, alla lunga, viene penalizzato.
Cosa teme di più se la liberalizzazione dovesse procedere?
Che il servizio diventi solo un affare per pochi e che a rimetterci siano i cittadini. Se salta il principio del servizio pubblico, resteranno solo le corse che convengono. E chi vive lontano dal centro, chi ha bisogno davvero, sarà lasciato indietro.