La Regione Lazio ha un problema con i medici di famiglia (e le liste di attesa)

Nel Lazio mancano 500 medici di famiglia. La Fimmg denuncia: liste d’attesa in crescita, sanità territoriale a rischio, servono soluzioni subito.
Fonte immagine: Pixabay.com

In tutta la Regione Lazio – e in particolare a Roma – centinaia di migliaia di cittadini non hanno più un medico di famiglia a cui rivolgersi. È la conseguenza di una crisi che si aggrava di mese in mese: mancano almeno 300 medici solo nella Capitale, 500 in tutto il Lazio, e ogni giorno si registrano nuovi pensionamenti senza che vengano nominati sostituti. Il risultato è un sovraccarico degli studi ancora attivi, un’erosione del diritto alla libera scelta e un’impennata delle liste di attesa per visite e prestazioni.

All’origine, secondo la Federazione dei medici di medicina generale (Fimmg), c’è una precisa responsabilità politica: da agosto 2024 la Regione non pubblica più le delibere che indicano le “zone carenti”, ovvero le aree in cui servono nuovi medici e dove i giovani già formati potrebbero essere immediatamente incaricati. Senza questo passaggio, che è un atto amministrativo dovuto e trasparente, l’intero sistema resta bloccato.

La denuncia è arrivata forte e chiara all’8° Congresso regionale della Fimmg Lazio e alla 17ª edizione della Scuola di formazione in medicina generale, in corso a Roma dal 23 al 25 maggio. Un’occasione che ha rimesso al centro i nodi irrisolti della sanità territoriale, dalle liste di attesa alla riforma delle cure primarie, fino alla necessità di superare lo scontro ideologico sulla “dipendenza” dei medici, per puntare invece su strumenti concreti come il contratto integrativo regionale e l’avvio delle Case di comunità.

Mancano i medici di famiglia nel Lazio

La carenza di medici di medicina generale non è più una questione di proiezioni future o di ipotesi su un ricambio generazionale in ritardo: è una realtà che impatta ogni giorno su centinaia di migliaia di cittadini nel Lazio. Solo a Roma mancano almeno 300 medici di base, mentre in tutta la regione la stima arriva a 500 unità non sostituite. Secondo la Fimmg Lazio, a rimanere senza medico di riferimento sono oltre 300.000 romani e circa mezzo milione di persone a livello regionale.

I numeri sono frutto di un progressivo svuotamento del sistema, aggravato dal blocco delle nuove assegnazioni. L’ultima delibera regionale che individuava le “zone carenti” – necessaria per avviare le procedure di incarico – risale ad agosto 2024 e indicava appena 5 posti per tutta Roma. Da allora, più nulla. Nel frattempo, i medici continuano ad andare in pensione e le aziende sanitarie, prive di strumenti ordinari, sono costrette a ricorrere a soluzioni tampone: incarichi temporanei a professionisti già in quiescenza o autorizzazioni a superare il massimale di pazienti per singolo medico, derogando ai limiti previsti dalla legge.

Il risultato è un sistema sotto stress, che nega ai cittadini il diritto alla prossimità e alla libera scelta del medico. In molti quartieri della Capitale – come Dragona, Trullo, Torrenova, Tor Bella Monaca, Torre Angela – e in numerosi comuni della provincia, trovare un medico di famiglia disponibile è diventata un’impresa. E il rischio, per la Fimmg, è che questo stato di eccezione diventi la nuova normalità.

Si allungano le liste di attesa

La carenza di medici di famiglia si traduce anche in un effetto domino sull’intero sistema sanitario: l’accesso alle cure diventa più difficile, e le liste di attesa per visite, esami e prestazioni si allungano, spesso in modo insostenibile. Quando manca il primo presidio del Servizio sanitario nazionale – il medico di base – anche le richieste più semplici finiscono per riversarsi sugli ambulatori specialistici e sui pronto soccorso, sovraccaricando strutture già in affanno.

Secondo la Fimmg, invertire questa tendenza è possibile solo rilanciando con forza la medicina di prossimità. Serve un modello territoriale moderno, capace di affrontare le nuove sfide epidemiologiche,  in primis l’invecchiamento della popolazione e la diffusione delle patologie croniche, puntando su prevenzione, continuità assistenziale e gestione dei pazienti sul territorio, senza rimandarli continuamente a strutture ospedaliere.

Un esempio virtuoso, oggi dismesso, è quello delle Uscar, le unità speciali nate durante la pandemia. 

A tal proposito, il professor Francesco Vaia – ex direttore generale dello Spallanzani e oggi all’Autorità Garante per i diritti delle persone con disabilità – ha ricordato al congresso Fimmg quanto quel modello di collaborazione ospedale-territorio abbia funzionato, e come il suo smantellamento sia stato un errore di strategia. “Oggi – ha spiegato Vaia – con minore spesa e in tempi rapidi, quella rete potrebbe già essere una base efficace per una sanità territoriale moderna. Invece si continua a parlare di dipendenza dei medici, senza capire che non serve a risolvere nulla”.

Le richieste della Fimmg: soluzioni subito, basta battaglie ideologiche

La Fimmg non si limita a denunciare: da mesi sul tavolo ci sono proposte utili ad affrontare la crisi e ricostruire un sistema sanitario territoriale funzionante. Il primo passo è semplice e obbligato: la Regione Lazio deve pubblicare immediatamente le nuove delibere sulle zone carenti, consentendo così l’assegnazione degli incarichi ai giovani medici già formati, in base ai punteggi. Si tratta di un atto amministrativo che sbloccherebbe centinaia di posizioni ferme da mesi.

Il secondo tassello è la firma del contratto integrativo regionale, previsto dal contratto nazionale, già siglato in molte altre Regioni. Questo strumento permetterebbe di ridefinire in modo organico l’organizzazione della medicina generale, anche alla luce dell’avvio (ancora incompleto) della rete delle Case di comunità. Per la Fimmg, è su questi elementi che si dovrebbe aprire un confronto serio con la Regione, anziché insistere sulla trasformazione del rapporto di lavoro dei medici da liberi professionisti convenzionati a dipendenti, una riforma giudicata costosa e inefficace.

Infine, il sindacato chiede di sbloccare circa 20 milioni di euro di fondi statali destinati a potenziare gli studi dei medici di base e le loro aggregazioni funzionali. L’obiettivo è dotarli di strumenti diagnostici essenziali – dallo spirometro all’ecografo, dall’analizzatore rapido al dermatoscopio – per affrontare sul territorio un numero sempre maggiore di casi, senza gravare sugli ospedali.

Non c’è più tempo da perdere”, avverte la Fimmg. “La medicina generale va potenziata, non terremotata. Se davvero si vuole salvare la sanità pubblica, bisogna partire da qui”.

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