Esercito Italiano, il punto del sindacato ASPMI su risorse e valorizzazione economica dei militari

ASPMI: più risorse alla Difesa, ma serve equità. Contratti in ritardo, FESI riformato, dirigenti penalizzati. “Serve rispetto per il personale militare”.

In un momento in cui l’Italia raggiunge il traguardo del 2% del PIL destinato alla Difesa, il dibattito sulle spese militari si intreccia con le questioni contrattuali, organizzative e retributive del personale in divisa. Ne abbiamo parlato con il presidente dell’ASPMI (Associazione Sindacale Professionisti Militari) Massimo Margotti e il segretario generale Francesco Gentile, che hanno fatto il punto sullo stato dell’arte: dal ritardo nell’erogazione degli arretrati contrattuali alle disfunzioni del sistema NoiPA, dalle disparità con le altre Forze di Polizia alla necessità di una riforma strutturale delle indennità accessorie.

Tra obiettivi già raggiunti – come il coinvolgimento sindacale nel nuovo FESI e il riconoscimento dell’indennità di comando ai graduati – e le sfide ancora aperte, emerge una visione chiara: servono risposte al più presto, risorse adeguate e soprattutto rispetto per il ruolo e la dignità del personale militare.

Più risorse alla Difesa, ma senza dimenticare gli uomini e le donne in uniforme

L’innalzamento della spesa militare italiana al 2% del PIL, in linea con gli standard NATO, rappresenta senza dubbio un traguardo importante. Ma per ASPMI, non può essere solo una questione di armamenti e tecnologia. “È soddisfacente perché ci uniformiamo agli altri eserciti”, ha sottolineato il segretario generale Francesco Gentile, “ma non dobbiamo dimenticare che sui mezzi ci stanno gli uomini. E gli uomini devono essere addestrati”.

Per l’associazione sindacale, infatti, una quota significativa di queste risorse deve essere destinata non solo alla modernizzazione dei sistemi d’arma, ma alla formazione continua e alla valorizzazione del capitale umano. È una questione non solo economica, ma di sicurezza operativa e di giustizia interna: “Gli uomini devono avere risorse sufficienti per l’addestramento – ha aggiunto Gentile – altrimenti qualsiasi investimento tecnologico rischia di perdere efficacia”.

Un esercito moderno non può prescindere dalla qualità e dalla preparazione del proprio personale. Per questo ASPMI insiste affinché la destinazione dei fondi rifletta non solo le priorità strategiche, ma anche le esigenze reali di chi serve il Paese in divisa ogni giorno.

Un contratto rinnovato, ma non sufficiente: “Recuperare il potere d’acquisto è una priorità

Dopo mesi di trattative, il rinnovo contrattuale delle Forze Armate firmato a dicembre 2023 ha segnato una tappa fondamentale per il riconoscimento economico del personale militare. Tuttavia, la soddisfazione per l’accordo raggiunto si è presto scontrata con i tempi lunghi della burocrazia. Come denuncia il segretario generale Francesco Gentile, “ricevere gli arretrati a giugno per un contratto chiuso a dicembre significa evidenziare le difficoltà oggettive della pubblica amministrazione”.

L’attesa prolungata non è solo un problema tecnico, ma il sintomo di una macchina amministrativa che fatica a stare al passo con le esigenze del comparto. “Non è accettabile – continua Gentile – che il personale debba attendere oltre sei mesi per percepire quanto gli spetta di diritto”. A questa lentezza si aggiunge una considerazione più sostanziale: il rinnovo ha riconosciuto aumenti significativi, ma non sufficienti a compensare il potere d’acquisto eroso dall’inflazione.

Eppure, per la prima volta, una quota altissima, il 92%, dello stanziamento è stata destinata alla parte fissa e continuativa della retribuzione, una scelta che segna un cambio di passo rispetto ai contratti precedenti, tradizionalmente più sbilanciati sulla parte accessoria. Ma secondo ASPMI, questo non basta. “Con il contratto abbiamo colmato nemmeno la metà del gap provocato dall’inflazione. E l’inflazione, nel frattempo, continua a crescere”, sottolinea il segretario generale.

Per questo l’associazione chiede con forza l’apertura immediata del tavolo per il nuovo contratto 2025–2027, che dovrà avere come obiettivo il pieno recupero del potere d’acquisto. “Vogliamo arrivare almeno al 12% di incremento, e non è una cifra casuale: è la misura necessaria per non lasciare indietro chi lavora ogni giorno, spesso in condizioni operative difficili e con una disponibilità h24”, chiarisce Gentile. La buona notizia, secondo ASPMI, è che le risorse ci sono: sono già previste nella legge di bilancio, sia per il triennio in corso che per il prossimo. Ma senza un’azione tempestiva del governo, il rischio è che si perda altro tempo prezioso.

NoiPA sotto accusa: “Serve una gestione dedicata, come per i Carabinieri

Tra le criticità più sentite dal personale militare c’è la gestione delle competenze economiche da parte del sistema NoiPA, che secondo ASPMI non è più in grado di garantire efficienza e tempestività. Gli arretrati contrattuali percepiti con mesi di ritardo sono solo la punta dell’iceberg. “NoiPA è una macchina gigantesca, ma con lacune enormi – denuncia Gentile – e oggi sta mostrando tutti i suoi limiti”.

La richiesta dell’associazione è chiara: uscire dal sistema generalista e istituire una gestione economico-amministrativa autonoma, sulla falsariga di quanto già avviene per l’Arma dei Carabinieri. “I Carabinieri si appoggiano a NoiPA ma con una struttura interna che consente loro di pagare i compensi accessori il mese successivo. Noi, invece, siamo costretti ad aspettare oltre 60 giorni. È una disparità evidente e inaccettabile”, aggiunge.

La lentezza nei pagamenti, infatti, ha ricadute concrete sulla vita quotidiana del personale. Straordinari effettuati in operazioni o attività di supporto vengono retribuiti con mesi di ritardo, alimentando malcontento e demotivazione. Ma oltre alla questione dei tempi, c’è anche un nodo giuridico fondamentale: l’equioordinazione.

All’interno del comparto non c’è parità di trattamento tra forze che operano spesso fianco a fianco”, afferma il segretario. “L’equioordinazione non è solo un principio, è una fonte giuridica: va rispettata. E invece continuiamo ad assistere a trattamenti economici e amministrativi disomogenei”.

Per ASPMI, l’uscita da NoiPA rappresenta un passo importante verso il riconoscimento della specificità e della dignità del personale militare, troppo spesso lasciato indietro rispetto ad altre amministrazioni dello Stato.

Indennità accessorie obsolete: “Serve una riforma della legge del 1983

Un altro fronte critico riguarda le indennità operative, ancora regolate dalla legge 78 del 1983, pensata inizialmente per la Marina e poi adattata, senza coerenza sistemica, alle altre Forze Armate. “È un sistema vecchio, nato per altri tempi e altre esigenze”, spiega Gentile. Le indennità accessorie pesano ancora troppo sul trattamento economico complessivo del personale, ma risultano rigide, scollegate dalla realtà operativa attuale e difficili da aggiornare.

Per ASPMI è necessaria una riforma profonda e urgente: oggi anche un piccolo incremento su una voce accessoria comporta un effetto domino su tutte le indennità connesse, bloccando ogni margine di manovra. “Non abbiamo lo stesso spazio negoziale delle forze di polizia: così è impossibile adeguare davvero il trattamento economico dei militari”, denuncia il sindacato.

FESI riformato e nuove tutele: “Più equità e riconoscimento per tutti

Tra i risultati più significativi ottenuti nell’ultimo anno, ASPMI rivendica la riforma del Fondo di Efficienza per i Servizi Istituzionali (FESI), finalmente ridisegnato con il coinvolgimento delle sigle sindacali. “Abbiamo eliminato le maggiorazioni legate agli incarichi, che finivano per tradursi in pochi spiccioli per il personale”, spiega Gentile, “e abbiamo redistribuito le risorse valorizzando anzianità e impegno effettivo”.

Un altro traguardo importante riguarda l’indennità di comando: dopo anni di esclusione, anche i graduati – e non solo ufficiali e sottufficiali – saranno finalmente inclusi nei prossimi decreti. “È una vittoria che ci pone tutti sullo stesso piano. Il comando comporta responsabilità, a prescindere dal grado”, sottolinea con soddisfazione il segretario generale.

La riforma del FESI, insieme all’estensione di istituti giuridici finora negati, come l’assegno di funzione maggiorato e il riconoscimento di specificità operative, rientra in una visione più ampia: costruire un modello retributivo più equo, trasparente e meritocratico, che riconosca realmente il valore del lavoro svolto quotidianamente da uomini e donne in uniforme.

Dirigenti militari in attesa da otto anni: “Serve l’apertura immediata dell’area negoziale

Se per il personale contrattualizzato si registrano alcuni avanzamenti, diversa è la situazione per i dirigenti militari del comparto Difesa, che attendono da ben otto anni un adeguamento del trattamento economico accessorio e l’estensione di tutele già previste per altri comparti.

Parliamo di istituti giuridici essenziali come la tutela della genitorialità o la licenza solidale – spiega il presidente ASPMI, Massimo Margottiche oggi vengono riconosciuti solo al personale contrattualizzato”. A causa dell’interruzione degli automatismi normativi nel 2017, con l’istituzione del tavolo per i dirigenti delle forze di polizia, si è creata una sperequazione evidente che penalizza i dirigenti militari.

ASPMI pertanto chiede l’avvio urgente dei lavori per l’area negoziale, sfruttando anche le nuove norme che consentono alle associazioni sindacali di partecipare ai tavoli. Tra gli obiettivi principali: allineare i compensi accessori a quelli delle forze di polizia ad ordinamento civile e costruire, con il coinvolgimento del personale e delle altre sigle, nuovi strumenti retributivi in grado di valorizzare responsabilità e merito.

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